La favola grafico-pittorica di Marina Ziggiotti si arricchisce, si complica, si cala nel profondo, riesce solare, racconta di esperienze effettivamente vissute e lungamente rielaborate, di cuciture, di percorsi del sentimento e del pensiero; si alza come aquilone a guardare il mondo, le città, i fili che nel tempo formano e disfano i gomitoli della vita, le trame e gli intrecci dei rapporti personali, sociali. E ricostruisce palazzi , città con il suo origami mentale, ricco di pieghe, di movimenti, di figure e...di gatti sapienti e saggi in quieta meditazione. “Chissà cosa pensano di noi di chiede spesso Marina..., che li considera simboli, emblemi i libertà, di autonomia e arguzia, di finezza mentale e di conoscenza vasta del mondo, per il loro girovagare, spiare, annusare, toccare con rapide, leggere zampate. E’ questo costante proiettare il pensiero, disponibile ad accogliere il diverso, il ‘complicato’, il rovescio dell’apparenza a dare alla Ziggiotti una così ampia gamma di elementi narrativi che costituiscono una tanto varia ed interessante sequenza di motivi ed una così doviziosa galleria di figure, di caratteri, di personaggi: teatro della memoria, della mente e del cuore che sembra svolgersi, dipanarsi nello spazio in tempo reale, cioè facendo, disegnando,, incidendo, ritoccando a bulino, stampando.
In verità c’è, dietro ad ogni sua lastra un tempo molto largo di fibrillazione emotiva e poi di decantazione, di presa di distanza, di ‘misura’, perché nella traduzione in opera la trama sia efficacemente espressione, comunicazione, ritmo ed armonia di segni, di luci ed ombre, di piegature sfumate, di piani e di volumi catturati in una sorta di magia che rende spazio tridimensionale il foglio, lo fa spazio della mente, della memoria concava che specchia e magnifìca i ricordi, le tante illusioni, i sogni, e di quella convessa che rimpicciolisce e respinge all’esterno come un rifiuto a trattenere il ricordo, a ricevere, a risentire, a rivivere.
L’intreccio, la trama, l’ordito, consentono all’artista di elaborare il vissuto a livello di gioco, di intaglio positivo e negativo, di ironia sottile che in parte acquieta stati d’ansia, timori e tremori esistenziali che sembrano diluirsi nel ritmo ripetuto delle ombre che lentamente svaniscono nel fondo lago scuro della coscienza, o tornano come eco, risonanze, vibrazioni dell’anima.
Sorprende sempre in Marina Ziggiotti la tenuta grafica e tecnica dell’insieme narrativo, che richiede un tempo molto lungo di realizzazione, un tempo che l’artista sente e vive sempre come lungo percorso di immaginazione, di esplorazione, di elaborazione, di invenzione/confessione e di meticolosa esecuzione, di meditazione sulla vita e di racconto personale, di tensione vero il futuro e di costante rivisitazione e reimpasto delle memorie.
La sua invenzione del tutto originale di trasposizione delle figure in carte piegate o ritagliate, i suoi fili, i suoi bottoni e cuciture testimoniano, da una parte, l’origine favolistica dell’elaborazione fantastica che in certo senso respinge il ‘peso’ esistenziale per restare sul piano dell’effimero e del gioco, dall’altra parte, tuttavia, anche il suo fondarsi su un’autentica verità esistenziale (il filare, il cucire, il tagliare, il piegare della nonna) intrecciata all’incantamento infantile e adolescenziale della voce narrante, altamente suggestivi in una fantasia prensile e ricca di arcane apparizioni, di trame sempre nuove, complesse, aperte tra esperienza visiva, voce, ascolto e risonanza intima di sinestesie antiche, coltivate nel tempo, fino a trovare nei processi calcografici e sempre di più anche nella traduzione pittorica (raffinata, elegante, volutamente, ricercatamente preziosa nell’intreccio segnico, nella composizione figurale emblematica e nelle campiture cromatiche) ancora una volta come scelta liberatoria di tremori, di paure esistenziali, in voli fantasmagorici di città, di navi, di intrecci.
Il ‘gomitolo’ diventa spesso il suo emblema prediletto per la sua ambigua valenza di esperienza vissuta e raccolta e insieme come tempo da dipanare, da vivere, da tessere e ritessere in figure emblematiche di gioco consapevole (Il Buffone e l’ironica coscienza) o in trame da lacerare in metamorfosi e rinnovati approdi mentali, sentimentali, relazionali, socio-politici (Il cammino delle metamorfosi).
Sempre più frequente, mi pare, un’aspirazione ascensionale, ora sentita come Nuova Babilonia, caos di sovrapposizioni, ora come tensione culturale e morale, desiderio anche di dare indicazioni, di proporre un’efficace disciplina di vita attraverso la disciplina tecnica, oltre che con le rappresentazioni simboliche, didascaliche ed araldiche del suo mondo intimo complesso e sofferto.
E indubbiamente l’incisione, i procedimenti dell’acquaforte, dell’acquatinta, dei ritocchi a bulino, della stampa sono per lei i più adatti, specie se modulati con tanta bravura, originalità, generosità e cura come fa Marina, a diventare disciplina e autentico racconto del cuore e della mente.
2007 GIORGIO SEGATO
In verità c’è, dietro ad ogni sua lastra un tempo molto largo di fibrillazione emotiva e poi di decantazione, di presa di distanza, di ‘misura’, perché nella traduzione in opera la trama sia efficacemente espressione, comunicazione, ritmo ed armonia di segni, di luci ed ombre, di piegature sfumate, di piani e di volumi catturati in una sorta di magia che rende spazio tridimensionale il foglio, lo fa spazio della mente, della memoria concava che specchia e magnifìca i ricordi, le tante illusioni, i sogni, e di quella convessa che rimpicciolisce e respinge all’esterno come un rifiuto a trattenere il ricordo, a ricevere, a risentire, a rivivere.
L’intreccio, la trama, l’ordito, consentono all’artista di elaborare il vissuto a livello di gioco, di intaglio positivo e negativo, di ironia sottile che in parte acquieta stati d’ansia, timori e tremori esistenziali che sembrano diluirsi nel ritmo ripetuto delle ombre che lentamente svaniscono nel fondo lago scuro della coscienza, o tornano come eco, risonanze, vibrazioni dell’anima.
Sorprende sempre in Marina Ziggiotti la tenuta grafica e tecnica dell’insieme narrativo, che richiede un tempo molto lungo di realizzazione, un tempo che l’artista sente e vive sempre come lungo percorso di immaginazione, di esplorazione, di elaborazione, di invenzione/confessione e di meticolosa esecuzione, di meditazione sulla vita e di racconto personale, di tensione vero il futuro e di costante rivisitazione e reimpasto delle memorie.
La sua invenzione del tutto originale di trasposizione delle figure in carte piegate o ritagliate, i suoi fili, i suoi bottoni e cuciture testimoniano, da una parte, l’origine favolistica dell’elaborazione fantastica che in certo senso respinge il ‘peso’ esistenziale per restare sul piano dell’effimero e del gioco, dall’altra parte, tuttavia, anche il suo fondarsi su un’autentica verità esistenziale (il filare, il cucire, il tagliare, il piegare della nonna) intrecciata all’incantamento infantile e adolescenziale della voce narrante, altamente suggestivi in una fantasia prensile e ricca di arcane apparizioni, di trame sempre nuove, complesse, aperte tra esperienza visiva, voce, ascolto e risonanza intima di sinestesie antiche, coltivate nel tempo, fino a trovare nei processi calcografici e sempre di più anche nella traduzione pittorica (raffinata, elegante, volutamente, ricercatamente preziosa nell’intreccio segnico, nella composizione figurale emblematica e nelle campiture cromatiche) ancora una volta come scelta liberatoria di tremori, di paure esistenziali, in voli fantasmagorici di città, di navi, di intrecci.
Il ‘gomitolo’ diventa spesso il suo emblema prediletto per la sua ambigua valenza di esperienza vissuta e raccolta e insieme come tempo da dipanare, da vivere, da tessere e ritessere in figure emblematiche di gioco consapevole (Il Buffone e l’ironica coscienza) o in trame da lacerare in metamorfosi e rinnovati approdi mentali, sentimentali, relazionali, socio-politici (Il cammino delle metamorfosi).
Sempre più frequente, mi pare, un’aspirazione ascensionale, ora sentita come Nuova Babilonia, caos di sovrapposizioni, ora come tensione culturale e morale, desiderio anche di dare indicazioni, di proporre un’efficace disciplina di vita attraverso la disciplina tecnica, oltre che con le rappresentazioni simboliche, didascaliche ed araldiche del suo mondo intimo complesso e sofferto.
E indubbiamente l’incisione, i procedimenti dell’acquaforte, dell’acquatinta, dei ritocchi a bulino, della stampa sono per lei i più adatti, specie se modulati con tanta bravura, originalità, generosità e cura come fa Marina, a diventare disciplina e autentico racconto del cuore e della mente.
2007 GIORGIO SEGATO